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Il Viaggio

Dal 9° piano l’ascensore è come se non si fosse mosso, mentre la porta automatica mi indica chiaramente l’uscita definitiva da quel mondo.

È come camminare in un sogno.

A parte qualche ricerca distratta di alcuni punti di riferimento, il mio sguardo è fisso nel vuoto davanti e sotto i miei piedi per quel disgusto che si è appena impossessato del mio amore, annientando l'idea dello scopo della mia vita.

Lascio che i pensieri spariscano da soli per non accentuare il mio dolore e prendo quel treno diretto che mi riporta a… casa (?)

In meno di due ore sono alla stazione ma non mi va di prendere il bus e così mi incammino a piedi. Lentamente. Come se non avessi neppure la voglia di rientrare, ma lo faccio ugualmente. 

Il maricapiede mostra i segni dei festeggiamenti di questo stupido 18 febbraio. Ciò che più mi colpisce sono tutti quei cuoricini rossi luccicanti che con il leggero vento sembrano rincorrersi, raggiungersi, accoppiarsi, nascondersi, ma anche rincorrermi per prendersi gioco di me.

Li calpesto come se nulla fosse, pensando che in fondo se lo meritano. Tutto è inutile, vacuo, irreale, inesistente.

Nell’ultimo tratto di strada alcuni punti sono quasi completamente al buio e vorrei tanto che quella massa nera mi inghiottisse del tutto, vorrei sdraiarmi sulla fredda terra in attesa che l’aria stessa mi schiacci fino allo sfinimento.

Non ho neppure intenzione di aprire la messaggeria sul cellulare che intanto mi manda al polso le vibrazioni dell’arrivo di notifiche. Se avessi a disposizione qualcosa che mi sconnetta per almeno 30 secondi andrei sul ponte, anche solo per guardare verso il basso, tirare ad indovinare quanto possa essere profondo ed in quanto tempo si tocca il fondovalle.

Nessuno da chiamare, le mie pene sono le mie pene e basta. Non le capirebbero comunque nessuno.